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Alessandro Mazziotti, Maestri senza laurea… Professionalità etnomusicologica, beni culturali, tutela e valorizzazione nelle comunità locali, in "Aequa", XI, n. 37, aprile 2009, pp. 54-59.
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MAESTRI SENZA LAUREA...
Professionalità etnomusicologica, beni culturali, tutela e valorizzazione nelle comunità locali
di Alessandro Mazziotti
Cu' trenta carrini m'accattai 'na vigna
E mi l'accattai vicino a 'na montagna
Cu' mi scippò lu grappu e cui la vigna
Povera vita mia, lavora e magna
Povera vigna mia, lavora e magna.
Tantai tanto pe' fare un castello
Credendo ch'era jeu lu castellano
E dopo fatto priziuso e bello
Le chiavi mi spariru, bella, di li manu.1
Nell'articolo, La ricerca etnomusicologica: professionalità e amatorialità, competenza e poesia. L'unicità di Ettore De Carolis, in "Aequa", XI, n. 36, gennaio 2009 (pp. 8-16), Roberta Tucci, riferendosi ad un mio precedente articolo2, elettasi a portavoce di un'intera categoria, mi accusa di essermi spacciato per etnomusicologo, il che è soltanto una sua personale deduzione, di comodo quanto errata.
Il mio percorso professionale, purtroppo mi verrebbe da dire, non si basa su lauree di primo o secondo livello, master o quanto altro l'università italiana ha predisposto per la formazione di specifiche figure professionali. Io sono un musicista, animato da una passione particolare per le tradizioni musicali, al punto d'aver rinunciato a uno stipendio sicuro per dedicarmi a questa mia passione. La mia ricerca sul campo nasce proprio da un'esigenza formativa, perfezionare la conoscenza dei repertori tradizionali oltre quanto ho studiato al Conservatorio di Santa Cecilia in Roma e nei tanti corsi, seminari e laboratori che ho poi frequentato. Come credo neppure i furori scolastici della Tucci potrebbero negare, una conoscenza più approfondita di modalità esecutive, aspetti costruttivi, organologici e repertori tradizionali si può acquisire soltanto nella frequentazione di costruttori, esecutori e cantori che ne sono i depositari. Quanto abbia appreso, nella mia pratica di musicista, lo lascio al giudizio di chi ha avuto occasione di ascoltarmi.
Di sicuro dove sono stato per le mie ricerche, dalla Calabria alla Lucania, dal Cilento al Lazio e alla Campagna romana, sono stato sempre accolto molto bene, senza chiusure né diffidenza perché, a detta delle stesse persone che andavo a visitare, mi comportavo diversamente da altri che avevano invece deluso la loro fiducia. Ed era proprio a questa "delusione", di alcuni cantori e esecutori tradizionali, che volevo dar voce, nel mio precedente articolo, non certo denunciare le "malefatte" di un'intera categoria per la qual cosa non solo non ho i titoli ma nemmeno i motivi per farlo. In ogni caso, ad evitare ulteriori equivoci, faccio pubblica ammenda per alcune generalizzazioni presenti nel mio scritto dove, anche in base alla diffusione locale della rivista che lo ospitava, intendevo in realtà parlare solo di alcuni ricercatori che, in possesso del "pedigree" reclamato dalla Tucci, non hanno certo dato una prova eccellente di correttezza nel rapporto con i loro "informatori" in quelle determinate aree.
Fatta questa doverosa precisazione, vorrei dunque rassicurare la Tucci che "amatori" come il sottoscritto sono grati alla ricerca etnomusicologica solo quando riesce a darci raffigurazioni appropriate e spiegazioni esaurienti di una determinata tradizione. Gli "amatori" non cercano nulla di più e di meglio, trovando in questi studi altro alimento per le loro attività, quali che siano.
Se dunque mi sono ritrovato con microfoni e telecamere a fare rilevazioni è stato soprattutto per l'insufficienza di alcune ricostruzioni che, a una verifica diretta, si rivelavano lacunose. Lacune che, mi sembra perfino ovvio sottolinearlo, non riguardano l'apparato concettuale o la terminologia ma il cuore stesso della ricerca. Tradizioni date per estinte o circoscritte ad un'area, infatti, continuano o riguardano anche altre aree, per quanto la figura professionale di cui sopra lo abbia ormai escluso "categoricamente": e dire e testimoniare il contrario, a quanto pare, è un peccato di lesa maestà.
Per conto mio pensavo che il rendere pubblici questi dati potesse essere invece di qualche utilità, se non altro come segnale da verificare: magari sono anche travisamenti miei che, a maggiore ragione, avrebbero meritato un supplemento di indagine da parte di chi ha titoli professionali e competenze scientifiche e, mi sia permesso di aggiungere, anche fondi e risorse economiche per farlo.
Dal mio punto di vista, che ripeto è quello di un musicista oltre che di ricercatore, un altro aspetto di fondamentale importanza è la tutela e la valorizzazione delle tradizioni musicali all'interno delle comunità di appartenenza. Per questo ho sempre cercato di interagire positivamente con esecutori e cantori tradizionali, offrendomi spesso anche di restaurare i loro strumenti e segnalando loro, l'importanza e il valore della cultura di cui erano "portatori". Anche in questo caso, mi sono limitato semplicemente a riportare, come dati di fatto rilevati nella mia esperienza, comportamenti di alcuni ricercatori che, invece di contribuire alla rivitalizzazione dei patrimoni tradizionali, contribuiscono alla loro estinzione, preoccupati come sono di raccogliere cimeli da aggiungere alle loro preziose raccolte, personali e inaccessibili, specie alla folla disordinata di amatori ed appassionati. In particolare privare un suonatore tradizionale della propria zampogna, per quanto sotto la forma di acquisto, continua a non sembrarmi un comportamento rispettoso per la tradizione che si pretende di tutelare né onorevole della professione che si esercita3.
Se riporto ancora argomenti del mio precedente articolo è perché, presa dal suo fervore accusatorio, la Tucci non ha dato ad essi alcuna risposta. In questa singolare tenzone tra una specialista come lei e un povero amatore, come il sottoscritto, mi sembra che abbia volutamente fatto leva su alcune mie ingenuità espressive per chiamare alle armi l'intera etnomusicologia italiana, così da far passare in secondo piano questi miei rilievi.
Credo con la stessa preoccupazione, la Tucci offre poi una ricostruzione della storia dell'etnomusicologia italiana del tutto fuori bersaglio visto che nessuno si è mai sognato di mettere in dubbio meriti e conquiste di questa disciplina. Ma che c'entra Carpitella con il ricercatore che "rapina" un anziano del suo strumento oppure Leydi con chi si appropria di foto o altro materiale che non gli appartiene? Se dico che un medico si comporta male, chiamo in causa tutta la discendenza di Ippocrate? E se dovessi rilevare in un magistrato un comportamento contrario all'etica professionale posso essere accusato di avere attentato all'intera magistratura?
Oltre che da constatazioni personali, che come esperto di strumenti tradizionali suppongo di poter avanzare, altre mie osservazioni di carattere più generale sono anche in testi e studi, sicuramente noti alla Tucci, ad esempio quelli di Roberto De Simone sui limiti delle trascrizioni per le musiche di tradizione: ma allora perché non misurarsi, diciamo così, tra pari e spostare invece la polemica su chi "riprende" le stesse tesi?
Rispetto a quanto già detto, mi limito a riportare altre mie esperienze giusto per rendere ancora più chiaro cosa intendevo dire. Qualche tempo fa assieme al costruttore di zampogne Marco Tomassi ci venne l'idea di ricostruire la Zampogna gigante 30 bassa di Villa Latina, di cui avevo ascoltato alcune registrazioni effettuate da Sandro Portelli e conservate presso l'Archivio Franco Coggiola del Circolo Gianni Bosio. Sapendo che un esemplare dello strumento si trovava anche al Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma, ci siamo preoccupati di acquisire il catalogo, curato dalla stessa Tucci, degli strumenti conservati al Museo, pensando di ricavarne qualche indicazione utile4. Invece abbiamo constatato che misurazioni, descrizioni e rilievi riportati nella scheda erano completamente insufficienti allo studio e successiva ricostruzione dello strumento, per cui decidemmo di rilevare nuovamente tutte le misurazioni organologiche grazie all'aiuto dell'etnomusicologo Ambrogio Sparagna5. Riportare questi semplici dati di fatto è un attentato di leso specialismo oppure può essere un contributo a che qualcuno riveda e corregga quanto ha scritto e sostenuto? Ed è così grave che indicazioni del genere vengono da un "amatore" invece che da un etnomusicologo? L'umiltà e la disponibilità all'ascolto, sulle quali ha imbastito un "edificante" sermoncino, non sembrano essere in verità tra le virtù principali della Tucci a differenza di quanto in più occasioni hanno dimostrato i padri dell'etnomusicologia ai quali pure continua a richiamarsi6.
In realtà nel suo lungo articolo c'è un punto sul quale varrebbe la pena riflettere, vale a dire l'auspicata -a parole, soltanto a parole- collaborazione tra "etnomusicologi professionali" ed "etnomusicologi amatoriali" che, frequentando assiduamente comunità, esecutori e cantori, potrebbero offrire ai primi indicazioni utili alle loro ricerche che, sicuramente, saprebbero dunque metter meglio in risalto l'importanza e il valore di una tradizione.
Sorvolando sul fatto che il suo articolo non sembra manifestare grandi disponibilità a collaborazioni di qualsiasi genere, questo incontro sarebbe auspicabile a patto che ci sia una parità nel rapporto, pur nelle differenze di competenze e specializzazione. Condizioni che, in altre mie esperienze dirette o di persone a me molto vicine, non mi pare che siano state sempre rispettate. Così una volta, alcuni miei amici, allo stesso modo interessati "amatorialmente" alle musiche di tradizione, hanno accompagnato alcuni studiosi, forniti dei requisiti di legge richiesti dalla Tucci, in una ricerca sul campo, dando loro informazioni indispensabili (e altrimenti difficilmente ottenibili) sugli esecutori, i contesti, le persone, gli archivi privati, insomma tutto quanto era necessario per avviare una ricerca su un determinato fenomeno musicale la cui valorizzazione era molto attesa dalla comunità locale. A distanza ormai di anni, i miei amici e quella comunità attendono ancora di sapere quali siano stati gli esiti di questa ricerca. Lo stesso ricercatore, saputo poi di un'iniziativa autonoma di quella stessa comunità per valorizzare quella medesima pratica musicale, non ha trovato di meglio che inviare loro una diffida a che nessun'altro si intromettesse nella "sua" ricerca, sulla quale evidentemente riteneva di poter vantare una sorta di esclusiva.
Il che ci porta a un altro tema generale, che la Tucci ha cercato di aggirare goffamente, vale a dire la fruibilità collettiva di beni dichiarati di "pubblico dominio", ma di fatto "reclusi" in qualche inaccessibile scrigno. Non si capisce infatti cosa c'entrano istituzioni di fondamentale importanza, note e frequentate anche dagli amatori, come gli Archivi di Etnomusicologia dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia e la Discoteca di Stato con il problema che ho sollevato. L'esistenza, in queste due istituzioni, di raccolte di grande importanza, realizzate spesso anche da autori non in possesso dei requisiti di legge richiesti dalla Tucci, ha forse risolto una volta per tutte il problema della piena fruibilità di patrimoni collettivi che, se non agli appassionati e agli studiosi, dovrebbero in qualche modo essere "restituiti" alle comunità di appartenenza? Come è possibile invocare l'esempio dei "padri" per giustificare nei figli proprio l'atteggiamento opposto, come mi pare abbia fatto anche in questo caso la Tucci? E basta andare a verificare a che tipo di autori e a quali anni siano riconducili le ultime raccolte "depositate" tanto negli Archivi di Santa Cecilia quanto alla Discoteca di Stato per comprendere da parte di chi ci sia un'effettiva disponibilità alla condivisione e partecipazione delle proprie ricerche…
Ovviamente, non c'è alcun obbligo al riguardo, soprattutto in periodi di ristrettezze economiche che hanno impedito a queste stesse istituzioni di procedere ad altre acquisizioni "onerose", secondo tariffari ora privi però dei relativi capitoli di spesa. Non tutti sono disponibili a una cessione "gratuita" delle "proprie" ricerche, che continuano dunque ad essere inaccessibili ai più se non nei limiti di quanto via via pubblicato dagli stessi ricercatori. Ma mi pare più che evidente la differenza: un conto è l'utilizzazione di alcune registrazioni per una propria pubblicazione, con effetti pubblici ma motivazioni più strettamente personali, riguardanti ad esempio la carriera del singolare ricercatore; un altro è la condivisione, attraverso sistemi pubblici e gratuiti, dei risultati delle proprie ricerche, che continuano a restare chiuse negli archivi privati.
Il che ci porta ad affrontare un altro problema di ordine generale, toccato del tutto strumentalmente dalla Tucci là dove colloca il cosiddetto "amatore", e dunque anche il sottoscritto, all'interno di un quadro di attività che, dalla pratica musicale al management, dall'organizzazione di festival alla consulenza per enti pubblici, sembrano accomunate dalla fruizione di risorse pubbliche che, senza garanzie scientifiche, risulterebbero dunque malamente spese. Su questo punto non posso fare altro che dichiarare la mia totale estraneità a questo quadro, essendomi sempre impegnato solo e soltanto a mio rischio e pericolo, per prestazioni d'opera che, rarissime volte, sono state pagate anche da enti pubblici e per cifre assai modeste, equivalenti al compenso ordinario di un musicista. Lo stesso dicasi per i seminari, corsi, laboratori, esposizioni e quanto altro io abbia fatto e continuo a fare. Giusto per essere ancora più chiari e non perché ci sia alcunché di sbagliato, non lavoro in un ufficio regionale, non ho mai pubblicato un libro con risorse pubbliche né con prefazione di assessori e, semmai me ne fosse stata data la possibilità, consapevole dell'importanza dei soldi, avrei sicuramente optato per un formato meno lussuoso, tipo libro-strenna fondazioni bancarie, ritenendo semmai più urgente altre utilizzazioni di quelle stesse risorse. Non ho contributo alla realizzazione, sempre con risorse pubbliche, di musei che, spesso e volentieri, esistono solo sulla carta, perché mai entrati in funzione. Tutto quello che ho fatto e che continuo a fare, dalla realizzazione del Museo delle Tradizioni musicali della Campagna romana con oltre 300 strumenti ai corsi presso il Circolo Gianni Bosio, alle innumerevoli lezioni-concerto per scuole dove ogni anno circa settemila ragazzi entrano in contatto con la musica tradizionale, ed anche, non me ne voglia la Tucci, università, l'ho fatto sempre mettendomi in gioco in prima persona, senza protezioni di nessun genere. Resta il problema generale, che riguarda l'utilizzazione di risorse pubbliche per iniziative che in diversi modi riguardano la musica popolare, intercettano notevoli finanziamenti pubblici, coinvolgono pure stimati studiosi e prestigiosi accademici e non sembrano avere aiutato molto la difesa e la salvaguardia della musica tradizionale, anzi il più delle volte hanno aumentato la confusione sull'argomento: non mi pare però che ci siano state altre vibranti prese di posizione della Tucci…
Un ultimo punto mi resta ancora da toccare, vale a dire l'invito rivoltomi dalla Tucci a fare i nomi. Ma io non voglio imbastire nessun processo pubblico, non ho l'animo dell'inquisitore. Per conto mio è sufficiente sottolineare la contraddittorietà di alcuni comportamenti e gli interessati, se in buona fede, sapranno di chi si parla e, nel caso, correre ai ripari, come mi pare sia già successo con la ricomparsa della zampogna "rapita" nella Valle dell'Aniene.
Spero di non deluderla, dunque, ma l'unico nome che posso fare è il suo, se non altro per informare il lettore dello stato dei miei rapporti con la Tucci stessa che, in tutta la mia vita, credo di aver sentito solo due volte, al telefono e per email peraltro. La prima volta la cercai io al telefono, quando mi ero deciso ad approfondire la conoscenza sulle tradizioni musicali della valle dell'Aniene e mi era sembrato opportuno rivolgermi a lei in quanto specialista per avere indicazioni e consigli. Mi rispose di lasciar perdere, che non c'era più nulla da fare, "ormai sono tutti morti", il che rendeva forse ancora più urgente la necessità di consultare i materiali in suo possesso…. Quanto fondata fosse questa sua affermazione è dimostrata dal ritrovamento di ben 27 zampogne, dalle centinaia di ore di registrazioni realizzate, anche assieme a De Carolis, in quegli stessi posti dove si è ripresa una pratica musicale e costruttiva che forse avrebbe meritato maggiore attenzione. La seconda occasione di contatto con la Tucci è stata una sua email in cui mi segnalava sul mio sito7 alcuni passaggi "copiati" da alcuni suoi lavori, che non conoscevo allora e che continuo ad ignorare oggi. Il supposto plagio o furto riguardava ad esempio la descrizione e misurazione di uno strumento (otre, bordone, lunghezza delle canne etc etc) che non credo possa far parte dell'ingegno o dell'inventiva dell'autore, mentre io avrei avuto sicuramente bisogno di una fantasia non comune per descrivere diversamente lo strumento che avevo di fronte.
Quest'ultima email, in realtà, mi ha reso più chiaro il senso della risposta della Tucci alla mia prima telefonata: quello che importa, agli occhi di alcuni specialisti, è innanzi tutto allontanare gli intrusi, evitare ad ogni costo che qualcun altro possa occuparsi delle "proprie" ricerche, anche a costo di decretare la morte, per fortuna solo sulla carta, di quella stessa tradizione.
Su un ultimo aspetto, invece, non intendo assolutamente intervenire ed è la parte riguardante Ettore De Carolis. Quello che avevo da dire sul mio rapporto con Ettore l'ho già detto, anche in altre occasioni8, e non intendo in questa sede aggiungere altro, trovando di pessimo gusto questo regolamento di conti attorno alla memoria di una persona a me cara, che mi è stato amico e maestro, per quanto senza laurea.
Chiunque abbia avuto la fortuna di frequentarlo saprà giudicare da solo se quelle mie osservazioni sui modi di fare ricerca rispondano o meno alle opinioni e ai sentimenti di Ettore che, con la sua solita franchezza, non ha mancato in ogni caso di indicare pubblicamente in quali persone potevano ritrovarsi alcune rigidità per le quali è stato sempre insofferente.
A tal riguardo mi permetto di rammentare alla Dott.ssa Tucci, che era anche essa presente il 2 agosto 2006 quando, nel pieno di una conferenza tenuta durante il Carpino Folk Festival, Ettore irritatissimo dalle dissertazioni si alzò e se ne andò alquanto amareggiato 9.
Con la stessa filosofia di Ettore ma con la massima tranquillità, pacatezza e dignità figurativamente anche io mi alzo e vado via.
NOTE:
1 Canto tradizionale diffuso su tutto il territorio nazionale in varie forme ma registrato a Roma nel 1970 da Sandro Portelli sulla Piazza del Campidoglio occupata durante le lotte per la casa dagli edili del Borghetto Predestino per lo più di origine calabrese e siciliana. Trascrizione del canto in "I Giorni Cantati" a cura del Circolo Gianni Bosio di Roma, Quaderni di Cultura e Classe 25 - Istituto Ernesto de Martino Mazzetta Editore, Milano 1978.
2 Alessandro Mazziotti. Ettore De Carolis, un ricercatore che ha saputo rapire l'anima all'Aniene. Considerazioni sulla ricerca attuale. In "Aequa", X, n. 33, 2008, pp.15-19.
3 Dopo la pubblicazione del mio articolo, in verità, pare che la zampogna in questione sia riapparsa come per magia nella Valle, il che mi ripaga abbondantemente di questa sterile polemica.
4 SIMEONI P.E., TUCCI R., (a cura di), La collezione degli strumenti musicali, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari, Roma, Libreria dello Stato, 1991.
5 La presentazione della ricostruzione dello strumento è avvenuta, con una enorme partecipazione di pubblico, il 30 marzo 2008 in occasione della manifestazione "Beni Immateriali in Azione a Roma", presso lo stesso Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. Una documentazione fotografica è su www.vialetrastevere.org/newpage50.html .
6 Mi limito a citare l'Avvertenza finale riportata nel libretto allegato al disco "Zampogne-Italia, 2" (Albatros VPA 8482, 1981), a cura di Febo Guizzi e Roberto Leydi, dove i due studiosi dichiarano di avere fornito "dati e informazioni più precise e più ampie rispetto al booklet del volume 1" e di avere anche corretto "dati inesatti" forniti nel precedente booklet perché "lo svilupparsi delle ricerche e degli studi sulle zampogne in Italia (fenomeno di questi ultimissimi anni, dopo un così lungo disinteresse) determina l'acquisizione continua di nuovi dati e nuove informazioni che intervengono utilmente ad arricchire le nostre conoscenze in questo campo dell'organologia e a correggere convinzioni e dati precedenti". Una convinzione che sembra mancare del tutto nella Tucci che, avendo ad esempio sostenuto la diffusione della chitarra battente solo ed esclusivamente in alcune aree della Calabria, a fronte di ricerche che dimostravano la sua presenza anche in altre aree, ha attivato analoghi processi di condanna dell'intruso che aveva osato mettere in dubbio l'autorità dello specialista.
7 www.suonidellaterra.com .
8 Cfr. A. Mazziotti La lezione di un Maestro in E. De Carolis, Le Voci dell'Anio. Musiche tradizionali della valle dell'Aniene. Roma, Squilibri, 2008. Al volume sono allegati due Cd audio curati interamente dal sottoscritto con registrazioni sul campo effettuate da Ettore dal 1972 al 2004. Si tratta della più imponente raccolta di documenti sonori sulla Valle dell'Aniene mai pubblicata prima. Il libro contiene anche interventi di Domenico Ferraro, Maurizio Agamennone e Gioacchino Giammaria che, in modi diversi, ripercorrono la carriera artistica e musicale di Ettore.
9 Traggo alcuni stralci da un comunicato stampa di Antonio Basile , dell'Ufficio Stampa dell'Associazione Culturale Carpino Folk Festival :"…Ettore De Carolis, ai più sconosciuto, aveva contribuito a "modo suo" a raccogliere molte di queste testimonianze, una di queste è la "Raccolta 135" sui canti popolari di Carpino…Fu lui stesso, Compositore di musica, Polistrumentista ed arrangiatore, Ricercatore di musica etnica, Autore di programmi radiofonici e televisivi, a donarla all'Associazione Culturale Carpino Folk Festival. La consegna avvenne la mattina del 2 Agosto 2006 nelle mie mani, alla presenza di Mattia Sacco e Luciano Castelluccia, rispettivamente presidente e direttore artistico dell'associazione, dei soci e degli studiosi Antonello Ricci, Roberta Tucci e Pino Gala. Con loro in quella giornata si ebbe modo di riflettere sulla utilizzazione, spettacolarizzazione e sulla destinazione dei repertori musicali di Carpino, ma poi Ettore non volle intervenire (si alzò e andò via) al convegno tenutosi in serata in opposizione al modo di raccontare accademico dei primi ….De Carolis, saputo della probabile apertura di un museo musicale in Carpino volle anche fare dono di ben 10 puntate della trasmissione radiofonica dal titolo "Appunti sulla musica folclorica". La raccolta 135, come spiega lo stesso De Carolis, contiene 23 brani registrati tutti a Carpino, 2 racconti effettuati da Francesco Solimando cantore di Sannicandro Garganico e si completa con 28 foto "che scattai personalmente. Non professionali, ma che raccontano…". Ettore De Carolis era senza ombra di dubbio un uomo fuori dal comune e questo suo gesto è quello che tutti, coloro che amano la musica e hanno realizzato raccolte, dovrebbero compiere per trasmettere alle nuove generazioni quell'identità che altrimenti andrà perduta nel tempo." Cfr. http://carpinofolkfestival.splinder.com/post/15498844 .